Dietro un grande vino c’è sempre un grande territorio. Una visita al Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello, è la chiave di volta per capire i tanti aspetti che hanno contribuito al suo successo. Centinaia di oggetti, fotografie, lettere, pannelli, da scorrere con attenzione
di Andrea Gabbrielli | Gambero Rosso, 9 agosto 2017 [articolo originale >>]
Il museo del Brunello
Non è la solita accozzaglia di vetusti attrezzi agricoli, sistemati alla rinfusa nella sala d’ingresso di una cantina, perché il Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello è un vero e proprio percorso che illustra tutti gli aspetti (storici, economici, sociali, culturali, ecc. ) che hanno permesso la nascita, e lo sviluppo, del più famoso rosso toscano e italiano.
In oltre 1500 metri quadri di esposizione sono centinaia gli oggetti, i vestiti, gli attrezzi, le fotografie, i pannelli, i documenti, i filmati, che si possono visitare da soli o meglio se accompagnati da una guida, per comprendere il terroir montalcinese nell’arco della sua storia. L’idea del Museo nasce da Stefano Cinelli Colombini, discendente di un’antica famiglia montalcinese e titolare della Fattoria dei Barbi che ha messo a disposizione gli spazi. Sono stati oltre 400 i montalcinesi che hanno contribuito all’arricchimento delle varie sale con oggetti e ricordi di famiglia.
La storia
Nulla è stato tralasciato a partire dal ruolo della città di Montalcino, la sua importanza strategica e politica, gli assedi di cui è stata protagonista. Una storia che apparentemente subisce una cesura quando con il trattato di pace di Cateau-Cambrésis tra Francia e Spagna, Montalcino, sede della Repubblica di Siena e ultimo libero comune italiano, dovette capitolare il 31 luglio 1559. Ma la città, pur perdendo la sua autonomia, continuerà la sua vicenda nell’ambito del Granducato di Toscana prima e dell’Italia unitaria poi. In questo lungo arco di tempo Montalcino non ha mai smesso di confrontarsi con le sfide del progresso e di un’evoluzione della comunità: dalla creazione della società di Mutuo Soccorso (1862), all’assistenza medica gratuita (1908) per i poveri del Comune, al passaggio della linea ferroviaria (1865), alla luce elettrica ottenuta da una centrale a vapore (1902). Un percorso che si interseca con la storia economica e produttiva di Montalcino, anch’essa minuziosamente ricostruita: per molti secoli, dal 1350 sino al 1840, l’attività principale nel comune fu la concia delle pelli e la produzione di scarpe, seguita dalla lavorazione della lana, dalla falegnameria e dalla lavorazione del ferro. In epoca più recente la produzione di carbone – per uso industriale e domestico – fu un’attività assai diffusa. Però l’agricoltura e la viticoltura da sempre hanno svolto un ruolo di primo piano.
Montalcino: il lungo percorso di un vino
Grazie a Francesco Redi, scienziato e poeta alla corte dei Medici, il Moscadello di Montalcino già dal 1685 gode di una grande fama, immortalato nei versi di Bacco in Toscana mentre il più prestigioso vino rosso italiano ha una storia più complessa. Le numerose ricerche svolte nel corso degli anni giungono tutte alla stessa conclusione: il Brunello ha molti padri e non ha una data di nascita certa. Nel racconto Giovanni Moglio da Montalcino, lo storico A. E. Brigidi, citando un manoscritto di Marcantonio Rivaccini della metà del 1500, scrive di “Renai e la Martoccia i 2 vigneti per il miglior Brunello di Montalcino”. Se questa è da considerarsi come una delle prime citazioni del Brunello, c’è da dire che i vigneti dal 1800 fino al 1930 non sono mai stati meno di 2.000 ettari, con punte fino a 4.000.
I padri del Brunello
Nell’Ottocento Clemente Santi, Tito Costanti, Camillo Galassi, Giuseppe Anghirelli, Riccardo Paccagnini, Raffaello Padelletti, Ferruccio Biondi Santi, furono alcuni dei pionieri della sua nascita e nel museo la vita e le opere di ognuno sono ampiamente illustrate. Ma se la loro generazione è considerata “l’inventrice” del Brunello, quella di Tancredi Biondi Santi e Giovanni Colombini fu la quella che riuscì a farlo conoscere nel mondo, provocando una vera rivoluzione nel campo dell’enologia internazionale.
Un successo tra alti bassi, però. Infatti gli effetti della fillossera prima e della Seconda guerra mondiale con il passaggio del fronte poi, furono particolarmente pesanti per Montalcino e il suo territorio: divenne uno dei comuni più poveri d’Italia e perse circa il 70% della sua popolazione. Solo alcuni produttori fra i quali Colombini e Biondi Santi continuarono a imbottigliare il Brunello ma tante aziende sparirono e con loro, memorie e documenti che oggi sarebbero preziosi.
La crisi degli anni ’60
Nel 1960 la prosperità di inizio secolo sembrava un lontano ricordo: strade sterrate, poderi diroccati, carri trainati da bovi e ancora visibili gli effetti sulle piante di olivo della terribile gelata del 1956. Con l’apertura dell’Autostrada del Sole (1958-1964), il conseguente crollo dei traffici stradali sulla vicina Cassia e l’abolizione (1964) della mezzadria, il mondo montalcinese va in stallo e anche le attività artigianali cessano quasi del tutto. In questa situazione drammatica, il Sindaco Ilio Raffaelli e alcuni imprenditori grandi e piccoli del territorio, compresero che bisognava puntare sulla valorizzazione dei prodotti agroalimentari di qualità e nel turismo. Alla fine emerse chiaramente che l’unica risorsa su cui si sarebbe potuto costruire il rilancio di Montalcino era il Brunello.
Solo nel 1966 con il ricoscimento della Doc – diventerà Docg nel 1980 – la storia del vino e della città riprende slancio anche se l’anno dopo, solo 21 aziende presentarono la denuncia di produzione (circa 2000 ettolitri), una quantità davvero esigua per un vino di così grande nome. Nel 1967 sarà la volta della costituzione del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino grazie a 21 pionieri (oggi sono 230 i viticoltori, vinificatori e imbottigliatori, associati al Consorzio). Nel frattempo, il 28 aprile 1969, presso l’Ambasciata italiana a Londra, in occasione di una cena in onore della Regina Elisabetta e del Presidente Giuseppe Saragat, fu servito il Brunello di Montalcino Riserva 1955 Biondi Santi, che già allora era considerato il migliore vino italiano.
Gli anni ’70 e l’arrivo degli americani
Negli anni Settanta numerosi imprenditori lombardi acquistano, spesso a prezzi molto convenienti, poderi abbandonati ed ampie estensioni di terreno. Insomma la nuova economia del Brunello, seppur in sordina, inizia ma ci vorrà molto tempo per farla decollare. Sono anche gli anni in cui la moda e la cucina italiana conquistano il mondo. Il Brunello diventa uno dei simboli del nuovo boom economico e come tale non può mancare sulle tavole dei migliori ristoranti di New York e di Los Angeles.
Nel 1978, l’arrivo degli americani della Banfi, un investimento che non ha paragoni nel mondo del vino per la vastità del progetto e per volume dell’investimento – circa 200 milioni di euro di oggi – contribuisce non poco ad accelerare la rinascita. Di investitori ne arriveranno molti e saranno in tanti, montalcinesi e non, i protagonisti dell’attuale straordinario successo.
La storia recente è cronaca di questi giorni, con i cambi di proprietà, l’ingresso di gruppi internazionali, l’ottimo risultato dei vini in ogni guida, la presenzza sui mercati e le tavole più importanti. Un presente che non può scindersi dal suo passato, recente e remoto, che queso museo contribuisce a far conoscere. Perché il Brunello non è solo un grande vino ma una grande storia da conoscere.
Museo della Comunità di Montalcino e del Brunello |Montalcino (SI) | Località Podernovi, 170 | Strada Consorziale dei Barbi| tel. 0577.846104 e 0577.841111, cellulari: 340.7412324 e 345.3068069 | https://www.fattoriadeibarbi.it/museo-del-brunello/
a cura di Andrea Gabbrielli